Lotto No. 739


Giuseppe Uncini *


(Fabriano 1929–2008 Trevi)
Arco a sesto ribassato con ombra, 1969, mattoni, cemento, 240 x 100 x 22 cm, (MCC)

Provenienza:
Liceo Artistico “Enzo Rossi”, Roma

Bibliografia:
Bruno Corà, Uncini, catalogo ragionato, p. 259, n. 69 – 010 con riproduz.

Giuseppe Uncini frequentò da ragazzo l’Istituto d’Arte di Urbino e, dal 1960, divenne lui stesso docente in questo tipo di scuola, prima presso l’ISA Roma 1 e poi, dal 1966, nell’Istituto Statale d’Arte Roma 2 per la Decorazione e l’Arredo della Chiesa, (ora Liceo Artistico “Enzo Rossi”) diretto dal pittore Enzo Rossi, la scuola in cui insegnò sino al pensionamento, avvenuto nel 1988.
Già nel 1970 Rossi, proponendolo per il passaggio a docente ordinario scriveva al Ministero della Pubblica Istruzione: “Il Prof. Uncini è un celebre artista e la sua alta maturità è fondamento della didattica di tutta la sezione da Lui diretta. E’ uomo stimato dagli allievi e dai colleghi (…), compie il suo compito di insegnante e sperimentatore ben oltre i limiti imposti dal dovere di orario e di insegnamento.”
Sappiamo infatti che Uncini usava per il suo lavoro trattenersi a scuola nei vasti laboratori in cui prese a realizzare alcune delle sue opere ed eseguì per anni con i suoi alunni figure per le rappresentazioni natalizie, innovative e fuori da ogni schema precostituito. Erano gli anni della contestazione giovanile e molti artisti ponevano la loro arte a contatto con le realtà dell’estrema periferia romana, in un atto rivoluzionario e foriero di inusitati sviluppi. Uncini insegnava Disegno Professionale ed Arte dei Metalli ed Oreficeria, realizzando pure straordinari gioielli, mentre i suoi colleghi con gli allievi lavoravano per la realizzazione di oggetti per la liturgia ispirati alle più innovative correnti dell’arte contemporanea.
La sua produzione artistica dal 1958 aveva annoverato le famose opere in cemento armato, spesso con elementi in metallo ed i segni dell’armatura lignea in bella vista, ma dal 1968 l’artista focalizzò la sua attenzione sulla funzione delle ombre e, fra il 1969 ed il 1972, Uncini prese pure ad eseguire opere in mattoni.
L’opera qui esaminata si pone proprio tra queste due ultime fasi, racchiudendo in sé la riflessione sulle ombre e la realizzazione in mattoni. Si tratta di una stagione fondamentale nella storia dell’artista, giustamente analizzata, tra gli altri, da Marisa Volpi Orlandini nel saggio “Giuseppe Uncini – Le ombre”, apparso sul numero 4 della rivista “Rondanini” dell’aprile 1976, e da Gillo Dorfles con “Le ombre di Giuseppe Uncini” su “Studio Marconi” del 31 marzo 1976.
In entrambi gli interventi i due critici ponevano giustamente l’attenzione sulle “ombre portate” dell’arte rinascimentale del Centro Italia, sulle “illusioni ottiche” di quella grande stagione artistica italiana che Uncini reinterpretava, ma per quest’opera il richiamo va anche all’antica architettura romana con le sue mura, colonne, paraste, archi. In particolare, per una serie di opere contigue Uncini parlò di “Cloaca Massima del Tevere con ombre”, rifacendosi alla celebrata presenza monumentale dell’architettura ed ingegneria civile di Roma antica.
Recentemente intervistato a proposito di quest’opera, un anziano ex-lavorante della scuola del Tiburtino III ricordava: Questo pezzo Uncini lo chiamava “La Cloaca Massima del Tevere con la sua ombra,” lui lavorava nei laboratori della scuola e ricordo che, in occasione delle sue mostre, venivano grandi camion con i trasportatori che avviluppavano le sue opere nelle coperte per non farle rovinare. Uncini spesso, sul retro, annotava il titolo oppure il prezzo dell’opera. Questo pezzo originariamente si trovava nel padiglione d’ingresso della Scuola. Lui la donò alla Scuola, io lo ricordo come un uomo animato da una grande modestia, pensava sempre che le sue cose non sarebbero state comprate, anche quando era già celebre. Era un aristocratico nell’animo. Scelse di lasciare quest’opera alla Scuola perché essa, a differenza di altre dello stesso ciclo, non aveva base ma andava appesa, aveva bisogno di un muro. Io lo aiutavo in quegli anni: per fare il cemento puntavamo dei fari sull’opera creando l’ombra e su quella lui interveniva. Ricordo bene anche il lavoro per creare l’arco di mattoni che non sono pieni ma si tratta di cortina, sono incollati a formare l’arco. La struttura interna è in legno, poi c’è il cemento.” Già Volpi Orlandini per questa serie di opere parlava dell’illusione generata da pieni che sembrano vuoti, dai cambiamenti causati dalla luce che le colpisce, appiattendo o evidenziando parti di esse e dichiarava che, poste in un interno, danno un’impressione di forme incastonate, una sensazione rimasta inalterata ancora oggi e che conserva un’ineffabile fascinazione, tanto più irresistibile perché generata da materie brutalmente costruttive, rigenerate però dal soffio inconfondibile della poesia.
Daniela de Angelis

Esperta: Maria Cristina Corsini Maria Cristina Corsini
+39-06-699 23 671

maria.corsini@dorotheum.it

25.11.2015 - 18:00

Prezzo realizzato: **
EUR 45.000,-
Stima:
EUR 35.000,- a EUR 55.000,-

Giuseppe Uncini *


(Fabriano 1929–2008 Trevi)
Arco a sesto ribassato con ombra, 1969, mattoni, cemento, 240 x 100 x 22 cm, (MCC)

Provenienza:
Liceo Artistico “Enzo Rossi”, Roma

Bibliografia:
Bruno Corà, Uncini, catalogo ragionato, p. 259, n. 69 – 010 con riproduz.

Giuseppe Uncini frequentò da ragazzo l’Istituto d’Arte di Urbino e, dal 1960, divenne lui stesso docente in questo tipo di scuola, prima presso l’ISA Roma 1 e poi, dal 1966, nell’Istituto Statale d’Arte Roma 2 per la Decorazione e l’Arredo della Chiesa, (ora Liceo Artistico “Enzo Rossi”) diretto dal pittore Enzo Rossi, la scuola in cui insegnò sino al pensionamento, avvenuto nel 1988.
Già nel 1970 Rossi, proponendolo per il passaggio a docente ordinario scriveva al Ministero della Pubblica Istruzione: “Il Prof. Uncini è un celebre artista e la sua alta maturità è fondamento della didattica di tutta la sezione da Lui diretta. E’ uomo stimato dagli allievi e dai colleghi (…), compie il suo compito di insegnante e sperimentatore ben oltre i limiti imposti dal dovere di orario e di insegnamento.”
Sappiamo infatti che Uncini usava per il suo lavoro trattenersi a scuola nei vasti laboratori in cui prese a realizzare alcune delle sue opere ed eseguì per anni con i suoi alunni figure per le rappresentazioni natalizie, innovative e fuori da ogni schema precostituito. Erano gli anni della contestazione giovanile e molti artisti ponevano la loro arte a contatto con le realtà dell’estrema periferia romana, in un atto rivoluzionario e foriero di inusitati sviluppi. Uncini insegnava Disegno Professionale ed Arte dei Metalli ed Oreficeria, realizzando pure straordinari gioielli, mentre i suoi colleghi con gli allievi lavoravano per la realizzazione di oggetti per la liturgia ispirati alle più innovative correnti dell’arte contemporanea.
La sua produzione artistica dal 1958 aveva annoverato le famose opere in cemento armato, spesso con elementi in metallo ed i segni dell’armatura lignea in bella vista, ma dal 1968 l’artista focalizzò la sua attenzione sulla funzione delle ombre e, fra il 1969 ed il 1972, Uncini prese pure ad eseguire opere in mattoni.
L’opera qui esaminata si pone proprio tra queste due ultime fasi, racchiudendo in sé la riflessione sulle ombre e la realizzazione in mattoni. Si tratta di una stagione fondamentale nella storia dell’artista, giustamente analizzata, tra gli altri, da Marisa Volpi Orlandini nel saggio “Giuseppe Uncini – Le ombre”, apparso sul numero 4 della rivista “Rondanini” dell’aprile 1976, e da Gillo Dorfles con “Le ombre di Giuseppe Uncini” su “Studio Marconi” del 31 marzo 1976.
In entrambi gli interventi i due critici ponevano giustamente l’attenzione sulle “ombre portate” dell’arte rinascimentale del Centro Italia, sulle “illusioni ottiche” di quella grande stagione artistica italiana che Uncini reinterpretava, ma per quest’opera il richiamo va anche all’antica architettura romana con le sue mura, colonne, paraste, archi. In particolare, per una serie di opere contigue Uncini parlò di “Cloaca Massima del Tevere con ombre”, rifacendosi alla celebrata presenza monumentale dell’architettura ed ingegneria civile di Roma antica.
Recentemente intervistato a proposito di quest’opera, un anziano ex-lavorante della scuola del Tiburtino III ricordava: Questo pezzo Uncini lo chiamava “La Cloaca Massima del Tevere con la sua ombra,” lui lavorava nei laboratori della scuola e ricordo che, in occasione delle sue mostre, venivano grandi camion con i trasportatori che avviluppavano le sue opere nelle coperte per non farle rovinare. Uncini spesso, sul retro, annotava il titolo oppure il prezzo dell’opera. Questo pezzo originariamente si trovava nel padiglione d’ingresso della Scuola. Lui la donò alla Scuola, io lo ricordo come un uomo animato da una grande modestia, pensava sempre che le sue cose non sarebbero state comprate, anche quando era già celebre. Era un aristocratico nell’animo. Scelse di lasciare quest’opera alla Scuola perché essa, a differenza di altre dello stesso ciclo, non aveva base ma andava appesa, aveva bisogno di un muro. Io lo aiutavo in quegli anni: per fare il cemento puntavamo dei fari sull’opera creando l’ombra e su quella lui interveniva. Ricordo bene anche il lavoro per creare l’arco di mattoni che non sono pieni ma si tratta di cortina, sono incollati a formare l’arco. La struttura interna è in legno, poi c’è il cemento.” Già Volpi Orlandini per questa serie di opere parlava dell’illusione generata da pieni che sembrano vuoti, dai cambiamenti causati dalla luce che le colpisce, appiattendo o evidenziando parti di esse e dichiarava che, poste in un interno, danno un’impressione di forme incastonate, una sensazione rimasta inalterata ancora oggi e che conserva un’ineffabile fascinazione, tanto più irresistibile perché generata da materie brutalmente costruttive, rigenerate però dal soffio inconfondibile della poesia.
Daniela de Angelis

Esperta: Maria Cristina Corsini Maria Cristina Corsini
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Hotline dell'acquirente lun-ven: 10.00 - 17.00
kundendienst@dorotheum.at

+43 1 515 60 200
Asta: Arte contemporanea
Tipo d'asta: Asta in sala
Data: 25.11.2015 - 18:00
Luogo dell'asta: Vienna | Palais Dorotheum
Esposizione: 14.11. - 25.11.2015


** Prezzo d'acquisto comprensivo di tassa di vendita e IVA

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